La ricerca contenuta in Animo Possidere. Studi su animus e possessio nel pensiero giurisprudenziale classico" si compone di tre capitoli. Nel primo si ricostruiscono in breve le diverse teorie emerse in dottrina sul significato e sul ruolo del termine animus in materia possessoria: dall'indirizzo 'ortodosso', che scorge nell'animus (insieme al corpus) un elemento costitutivo del possesso, all'indirizzo 'eterodosso', propenso a vedere nell'animus un fattore esterno e alternativo al corpus, mezzo attraverso cui possedere. Sempre nello stesso capitolo, si cerca di delineare, anticipando le conclusioni, come le due opposte interpretazioni possano trovare un momento di armonizzazione nel percorso seguito dalla giurisprudenza classica nell'elaborazione della nozione di possessio. Il secondo capitolo è dedicato all'approfondimento del percorso appena accennato. Lo studio è condotto 'per giuristi', ossia cercando di comprendere e di valorizzare il loro contributo riguardo al termine animus e alla formazione del concetto di possessio. Tuttavia, senza seguire in maniera rigorosa il criterio della successione cronologica, viene dato innanzitutto rilievo ai giuristi per i quali le fonti documentano un minimo di riflessione intorno alla complessa tematica, in particolare agli ambiti dell'acquisto, della conservazione e della perdita della possessio. Gli altri, poi, vengono inseriti nel piano dell'opera attraverso avanzamenti e retrocessioni temporali, a seconda del tipo di apporto offerto. Si inizia con Gaio e si prosegue con Pomponio, Papiniano, Ulpiano e, infine, Paolo. In questa cornice, come detto, trovano inoltre spazio Labeone, Proculo, Nerva figlio, Nerazio, Celso, Africano, Marcello e altri. Il terzo e ultimo capitolo concerne origini e sviluppi della possessio animo retenta. Il punto di partenza è un'misterioso' testo di Ulpiano che cita Labeone [D. 41,2,6,1 (Ulp. 70 ad edict.)] a proposito del proprietario che, recatosi al mercato, si vede occupare la propria abitazione da un terzo"