La terza edizione del manuale, che si pubblica a soli quattro anni dall’uscita della seconda, si è resa necessaria perché, oltre alla consueta evoluzione della prassi applicativa e giurisprudenziale, negli ultimi anni il diritto antitrust ha conosciuto un momento di profonda crisi e rinnovamento...
La terza edizione del manuale, che si pubblica a soli quattro anni dall’uscita della seconda, si è resa necessaria perché, oltre alla consueta evoluzione della prassi applicativa e giurisprudenziale, negli ultimi anni il diritto antitrust ha conosciuto un momento di profonda crisi e rinnovamento, che ha interessato non solo la sua applicazione in concreto, ma i suoi obiettivi, strumenti, e ruolo nell’ambito delle politiche pubbliche di intervento nell’economia. Vi è infatti chi ha visto nel diritto antitrust o, meglio, nel modo e nei parametri tradizionalmente utilizzati per apprezzare le condotte delle imprese, uno dei fattori che ha contribuito alla crescita eccessiva del livello di concentrazione dei mercati, alla perdita di potere dei lavoratori della grande impresa, all’acuirsi delle disuguaglianze e del deficit democratico. Si è pertanto chiesta a gran voce una modifica radicale degli obiettivi del diritto della concorrenza, abbandonando l’approccio puramente efficientista per uno più attento a preservare la struttura competitiva dei mercati e a garantire un equo processo competitivo tra le imprese. In questo contesto è poi entrato di prepotenza il discorso sulla sostenibilità e la conseguente necessità di assicurare coerenza tra la tutela del gioco concorrenziale e l’obiettivo di giungere a un modello di società in grado di consumare e utilizzare le risorse disponibili senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie esigenze. Su un fronte diverso, o forse opposto, vi è poi chi ha inteso il (invero relativo) rigore con il quale il diritto della concorrenza è stato applicato, specie nel campo delle concentrazioni, come un sostanziale ostacolo al perseguimento delle politiche industriali da parte degli Stati e dell’Unione europea nel suo complesso, chiedendo pertanto un ridimensionamento dei poteri attribuiti alle autorità antitrust o, quantomeno, la possibilità per i governi di intervenire sulle decisioni antitrust per ragioni di interesse nazionale.
Sino ad oggi, queste visioni non hanno più di tanto scalfito l’impianto generale del diritto della concorrenza, anche se, specialmente negli Stati Uniti, si è assistito ad un mutamento delle policies antitrust da parte delle autorità pubbliche di tutela della concorrenza (ma non ancora avallato dalla giurisprudenza), ora orientate ad un maggiore attivismo e ad una più decisa tutela della struttura concorrenziale dei mercati.
In questo breve arco temporale, sono state inoltre ampiamente riscritte le regole del gioco, sia in Europa, sia nel nostro Paese. Basti pensare, per quanto attiene all’Unione Europea, alle nuove comunicazioni in materia di intese orizzontali e verticali, che per un verso incorporano nell’analisi antitrust gli obiettivi in termini di sostenibilità e, per altro verso, attestano come ormai nelle relazioni verticali i principali problemi e restrizioni concorrenziali si siano trasferiti dal mondo fisico a quello delle piattaforme digitali. E, sempre da quest’ultimo punto di vista, ossia quello delle grandi piattaforme e operatori internet, si è assistito di recente ad un ulteriore grande mutamento. L’incapacità di contenere il potere di mercato attraverso le usuali disposizioni antitrust ha infatti indotto la Commissione europea ad adottare un approccio regolatorio ex ante, che è sfociato nell’emanazione del Digital Markets Act, il quale ad oggi riguarda le condotte delle sei principali piattaforme online.