Il tema dei patti parasociali è tradizionalmente controverso, essendo oggetto di costanti discussioni nei diversi sistemi giuridici, come si evince anche dall’evoluzione della relativa disciplina.
L’opinione consolidata, in dottrina e in giurisprudenza, si fonda sul c.d. “principio di separaz...
Il tema dei patti parasociali è tradizionalmente controverso, essendo oggetto di costanti discussioni nei diversi sistemi giuridici, come si evince anche dall’evoluzione della relativa disciplina.
L’opinione consolidata, in dottrina e in giurisprudenza, si fonda sul c.d. “principio di separazione”: l’acquisizione della personalità giuridica da parte della società, e quindi la configurabilità di un nuovo centro di imputazione, determina la separazione fra l’ordinamento della società (persona giuridica) e le persone dei soci, con la conseguenza che – anche in ragione del principio di relatività del contratto – i patti stipulati dai soci non sono opponibili alla società, non potendo avere effetti sull’organizzazione societaria, e non può esservi spazio per rimedi “reali” con riferimento ad atti che non siano stati assunti nel rispetto delle regole di forma e di pubblicità previste dal diritto societario.
La contrapposizione fra statuto e patti parasociali si coglie in ragione della diversa portata soggettiva delle previsioni ivi contenute: alle disposizioni dello statuto si assegna un’efficacia reale, nel senso della loro rilevanza nei confronti di tutti i soci, dei terzi e della società. Per contro, si ritiene che i patti parasociali abbiano un’efficacia “obbligatoria”: il patto produce effetti solo nei confronti di coloro che vi hanno aderito.
E dall’efficacia relativa dei patti parasociali – vincolanti solo per coloro che li hanno stipulati – deriva una netta separazione fra i due piani: quello del contratto sociale e quello dei patti parasociali.
In un simile contesto, tuttavia, è stata progressivamente avvertita nella maggior parte degli ordinamenti l’esigenza di accordare, sul piano sia normativo sia giurisprudenziale, una protezione effettiva ai soci aderenti all’accordo extra-statutario a fronte della sua violazione, e cioè una protezione che non si esaurisca nel riconoscimento del (solo) rimedio obbligatorio.
Si avverte un distacco fra le tesi “classiche” e le nuove istanze di tutela, che hanno trovato una risposta soprattutto nel panorama internazionale, a tal punto che – si giunge ad affermare – l’unico sistema in cui le soluzioni tradizionali continuano ad essere proposte in modo rigido appare quello italiano.
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