Il volume “Ius, quo utimur” di Filippo Gallo, spiega nella prima parte, in una preliminare questione linguistica, il significato del termine “Ius, quo utimur”: nell’esperienza romana il diritto vigente era abitualmente rappresentato con la locuzione ‘il diritto di...
Il volume “Ius, quo utimur” di Filippo Gallo, spiega nella prima parte, in una preliminare questione linguistica, il significato del termine “Ius, quo utimur”: nell’esperienza romana il diritto vigente era abitualmente rappresentato con la locuzione ‘il diritto di cui usiamo’. Sull’esistenza, nel linguaggio giuridico romano, della peculiare terminologia evidenziata non sembrano possibili dubbi. Essa appare infatti costante nelle Istituzioni di Gaio, le quali sono l’unica opera di un giurista classico che noi conosciamo pressoché integralmente; inoltre è presente in frammenti recepiti nel Digesto di tanti giuristi classici. Nel secondo capitolo si esplica il supremo principio della repubblica romana, mentre nel terzo si parla dei “iussa populi” nell’antica esperienza romana.
L’ invidiabile senso giuridico dei decemviri viene messo a confronto, nel quarto capitolo, con i costituenti italiani per passare poi, nel capitolo successivo, alle tre definizioni della legge, enunciate da giuristi e a noi pervenute. Le attestazioni di Giustiniano sulla presenza delle interpolazioni nel Digesto sono argomento della sesta parte mentre la settima tratta della ricostruzione della definizione papinianea della legge e della sua utilizzazione da parte dei commissari giustinianei.
L’ “usus e il non usus” viste come espressioni dell’esercizio della sovranità popolare, e inoltre come ragione della rappresentazione del diritto vigente come ius, quo utimur, sono i temi che compongono i due capitoli successivi; il decimo e ultimo capitolo si occupa invece della teorizzazione a noi pervenuta della produzione del diritto da parte del popolo.