Per sessant’anni l’assetto dei beni culturali ha accompagnato, pressoché inalterato, l’evoluzione dello Stato italiano. Neanche la considerazione che la Costituzione repubblicana, al suo art. 9, comma 2, abbia elevato la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione a principio fond...
Per sessant’anni l’assetto dei beni culturali ha accompagnato, pressoché inalterato, l’evoluzione dello Stato italiano. Neanche la considerazione che la Costituzione repubblicana, al suo art. 9, comma 2, abbia elevato la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione a principio fondamentale ha influito sul corso della disciplina, la quale ha “galleggiato”, tal quale, nella nuova cornice costituzionale.
L’approvazione, alla fine degli anni ’90 del secolo scorso, del Testo unico in materia di beni culturali e ambientali ha chiuso un ciclo, inaugurando una nuova stagione normativa, che ha trovato il suo apice – ma non certo la sua conclusione – nel Codice dei beni culturali e paesaggistici del 2004: al lungo letargo è, così, seguita una fase di apparente entropia.
Due, in particolare, le questioni attualmente sul tappeto.
In primo luogo, si affianca, a quello della tutela, il fronte della valorizzazione, che, anche sull’onda del principio di sussidiarietà, chiama in causa il poliedrico ruolo del “privato”: dalla dismissione del patrimonio culturale pubblico all’ammissione dei “privati” alle attività di gestione, fino al concorso finanziario privato sotto forma di “sponsorizzazioni” e “mecenatismo”.
Inoltre, quanto mai ineludibile è il nodo del rapporto con il diritto internazionale e quello dell’Unione Europea, i quali, “infiltrandosi” nell’ordinamento nazionale, lo costringono a fare i conti con opzioni assiologiche non sempre coerenti con il tessuto normativo interno. Si pensi alla problematica accezione anche immateriale del “patrimonio culturale”, nonché alla controversa tutela del possessore nelle ipotesi di traffico illecito di beni culturali.
È in questa prospettiva che il libro ripercorre gli istituti di tutela dei beni culturali, sottoponendoli ad indagine con la “lente” della Costituzione italiana, pur nella consapevolezza che neanche quello culturale – terreno sul quale tradizionalmente si registra un’accentuata “gelosia” nazionale – può a buon diritto continuare a considerarsi un terreno davvero autoreferenziale, riservato in via esclusiva alla volontà sovrana degli Stati.