La scelta del legislatore di una catalogazione degli atti impugnabili, posta alla base dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 – ancorché sia stata interessata, nel corso degli ultimi anni, da molteplici tentativi di ridimensionamento di matrice giurisprudenziale – rimane l’anima dell’int...
La scelta del legislatore di una catalogazione degli atti impugnabili, posta alla base dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 – ancorché sia stata interessata, nel corso degli ultimi anni, da molteplici tentativi di ridimensionamento di matrice giurisprudenziale – rimane l’anima dell’intero sistema processuale.
Se la norma sugli atti impugnabili può apparire talvolta non più adeguata alla varietà dei provvedimenti con cui l’Amministrazione finanziaria manifesta, nei confronti dei contribuenti, la propria pretesa tributaria e se le modifiche, che hanno riguardato i limiti interni della giurisdizione tributaria, hanno esplicato, inevitabilmente, taluni effetti anche sul regime degli atti contestabili in materia fiscale, è altrettanto vero che l’intervento sul sistema della predeterminazione normativa non può che avvenire in modo cauto. Nel rispetto del sistema della tutela differita, nonché delle preclusioni e delle decadenze che contraddistinguono un processo, quale è quello tributario, con natura impugnatoria e caratterizzato, secondo l’insegnamento alloriano, da una omogeneizzazione della tutela in chiave costitutiva.
La tenuta e la solidità del sistema degli atti impugnabili si evince dall’avvenuta introduzione dell’art. 3 bis del d.l. n. 146/2021, relativo alla non impugnabilità degli estratti di ruolo, ad eccezione dei casi indicati dal legislatore, nonché, anche se in modo implicito, dalla (mini)riforma, recentemente attuata con la legge n. 130/2022, che non è intervenuta sulle modalità di accesso alla giurisdizione tributaria ed, anzi, al comma 5 bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, ha inserito un richiamo espresso all’azione di annullamento degli atti impositivi.